lunedì 14 maggio 2012

A sweet farewell!

Ebbene sì.
Dentro di me ho sempre saputo che questo giorno sarebbe venuto, prima o poi.
Perché lo faccio? Potrei dire che nella mia vita non c’è abbastanza tempo per tenere decorosamente questo blog, e in questo c’è una parte di verità, senza dubbio. Ma la componente principale credo sia che questo  progetto ha esaurito il suo ciclo. E’ durato tre anni, per cui non è stato nemmeno brevissimo, la maggior parte dei blogger dura molto meno di così!
Che dire… è stata una bella esperienza, mi ha insegnato delle cose e costretto a impararne altre. Mi ha insegnato plasticamente anche qualcosa su me stesso e sulla vita, ossia che per ottenere buoni risultati, c’è bisogno di un obiettivo chiaro, e questo a Melted Dog è sempre mancato. Ora, mica che questo blog nascesse con l’intenzione di avere successo, ma la sua mancanza di identità ha rappresentato un limite, senza dubbio. Il perché dopotutto è abbastanza ovvio: a chi potrebbero interessare le mie opinioni sulla “Vita, l’universo e tutto quanto”? Avessi, che so, parlato solo di cinema avrei potuto attirare un pubblico di cinefili. Avessi parlato solo di viaggi, di viaggiofili. Avessi parlato solo delle mie opere non sarebbe probabilmente interessato a nessuno, ma almeno mi sarei fatto pubblicità. Invece sono rimasto lì a metà strada, indeciso. Tra le altre cose ho riflettuto parecchio anche su questo: per tenere questo blog ho finito per ritagliare minuti al tempo già risicato che dedicavo alla narrativa. Cosa che, tutto sommato, va contro i miei obiettivi "di fondo".
Quindi, è definitivo questo addio? Sì, per quanto riguarda Melted Dog.
Qualcosa forse rinascerà più avanti, ma sarà in un luogo diverso.
E’ ora che il bruco si faccia crisalide, dirà il tempo se diventerà farfalla in un altro progetto o, come ogni tanto accade, non si risveglierà più.
Fino ad allora, un saluto a tutti!



martedì 17 aprile 2012

Cristiano Filippini - Flames of passion

Ho conosciuto la musica di Cristiano Filippini leggendo una sua intervista sul portale Truefantasy.
In quei giorni navigavo intensamente siti del genere, alla ricerca di possibili vetrine per “Le sorgenti del Dumrak” il primo libro di Finisterra, quando mi sono imbattuto nell’articolo che parlava della musica di Cristiano. Incuriosito sono andato sul suo sito (www.cristianofilippini.com) e ho ascoltato i primi minuti di alcuni suoi pezzi e quelli interi che erano proposti sul suo canale youtube ed è stato sostanzialmente amore al primo ascolto, tanto che a breve giro di posta mi sono procurato il suo cd e l’ho contattato per chiedergli se aveva voglia di prestarci qualche minuto della sua musica per il booktrailer di Finisterra.

Date queste premesse, è addirittura ovvio quel che sto per dirvi in questa recensione: ossia che l’opera in questione mi è piaciuta moltissimo. Innanzitutto chiariamo le coordinate generali, Cristiano Filippini fa parte di una genia di musicisti non comune, specialmente ai nostri tempi e alle nostre latitudini: è un compositore di musica sinfonica. Parliamo quindi di pezzi strumentali (niente voce) pervasi di veri e propri pieni orchestrali. Inoltre l’attitudine metallica, dichiarata anche nella bio, è piuttosto spiccata e infatti ho letto in giro che varie riviste di metal hanno avuto occasione di ascoltare ed apprezzare l’opera del Filippini.

Ma veniamo all’opera in sé: Flames of Passion è un concept di dodici pezzi di grande impatto emotivo, dove momenti intensamente drammatici si alternano ad altri di straordinaria epicità e qua e là si aprono ad una vena romantica di gran classe.

Spiace davvero (e un po’ anche stupisce, tutto sommato) che il nostro non abbia trovato qualche casa discografica disposta a dargli tutto il supporto produttivo e di distribuzione che merita. Ma poi chissà, sono io che affermo che Cristiano “non ha trovato”, magari è stata una sua scelta. Comunque sia andata, come si apprende dal booklet il nostro ha fondato una casa di produzione tutta sua e il know-how evidentemente non gli manca perché il suono del cd è pressoché perfetto.

I pezzi notevoli sono numerosi, a partire dallo splendido tema dell’Overture (nonché title track) continuando con l’epica Hymn to freedom ripresa in organo nel Finale. Bellissimi i due Nocturne Romance, dove fanno capolino atmosfere più misurate e ed elegiache alla Cacciapaglia, stessa aria si respira pure nell’ottima Victim of love. E splendide pure sono l’arcana e folkeggiante Swordance e When dawn comes divisa in due tra sentimento e pieni orchestrali. Un gradino sotto nelle mie preferenze le drammatiche Malleus maleficarum e Rain of venegance e a seguire le rimanenti. Ma non escluderei affatto che la vostra opinione sia totalmente diversa dalla mia perché, e questo secondo me è il migliore dei complimenti che si può fare ad una produzione “indipendente” (ma in realtà a qualunque cd, in effetti…), la qualità è così uniformemente elevata e ogni pezzo così ben caratterizzato che scegliere il proprio brano preferito è davvero una questione di gusto personale.

Una raccomandazione d’obbligo, non mancate di leggere nel booklet (graficamente pure lui di ottima qualità, peraltro) La leggenda della Casata Heinz, che costituisce il filo conduttore di tutto il concept.

Voto 8.5


mercoledì 11 aprile 2012

Visioni di marzo

Questo mese è tutto improntato al cinema fantastico.
Ci risentiamo a breve (si spera) anche con qualche argomento diverso dai film visti!
Si spera...

Pandorum

Due giorni fa, svuotavo il solaio di Simona insieme a suo fratello, quando questo mi ha detto che uno dei due blockbuster di Modena (la catena è fallita, o comunque sta liquidando tutto quel che possiede…) era ancora aperto e svendeva i suoi dvd al 75% di sconto. Il giorno dopo io mi sono fiondato là e con 18€ mi sono portato a casa 8 film. Visto che nella pratica costavano circa 2€ l’uno mi sono lasciato andare a varie voglie, in particolare mi sono puntato su una fascia di “b movie” (per semplificare) di genere fantastico che avevo annotato sugli annuari di film tv. Questa sera ci siamo sciroppati il primo film del lotto.
Siamo attorno all’anno 2150, la sovrappopolazione della terra ha raggiunto livelli insostenibili e siamo ormai alla “lotta per il cibo”. Una sonda spaziale ha raggiunto Tanis, un pianeta abitabile in un altro sistema solare, viene quindi spedita a colonizzarlo l’astronave Elysium. Sono appena partiti quando ricevono l’ultima comunicazione dalla terra, pochi istanti prima della sua esplosione. Un tempo imprecisato più tardi, il caporale Boyer si risveglia dal criosonno. Dovrebbe far parte della squadra numero cinque, che curerà l’astronave dall’ottavo al decimo anno di viaggio, poco dopo si sveglia anche il tenente Peyton ma comprendiamo subito che qualcosa è andato storto. Il reattore della nave è spento, l’energia ausiliaria si sta esaurendo ed è impossibile accedere alla sala di comando. Boyer, sotto la guida di Peyton si mette in viaggio attraverso i condotti dell’aria con l’idea di andare a riavviare manualmente il reattore fino a raggiungere un’altra parte della nave, solo per scoprire che essa è popolata da creature orribili.
Pandorum è un film di fantascienza di tutto rispetto. Non perfetto, ma robusto, avvincente, con molte idee, una bella ambientazione, il giusto equilibrio tra azione e approfondimento, un cast che nel complesso funziona. Una pellicola “di genere” nel senso nobile del termine, di quelle che quando dici a te stesso “ho proprio voglia di vedere un bel film di fantascienza”, ti lasciano a fine serata soddisfatto. Molto bella la scena in cui il risvegliato pazzoide spiega la storia di quel che è accaduto, scivolata nel mito, illustrandola su quelli che sembrano disegni rupestri. Se lo vedrete capirete di cosa parlo.

Voto: 7+


Solomon Kane

Uno dei film che ho acquistato dalla svendita totale di blockbuster.
Diciamo la verità, non è che mi aspettassi un film straordinario. Me lo immaginavo un po’ truzzo, però insomma: trasposizione di un fantasy classico, alto budget, produzione europea, protagonista che almeno non è “The Rock” o altra salama da sugo muscolo-marmorea. I presupposti per una scommessa da due euro c’erano. Scommessa ahimè perduta, perché questo film è proprio bruttino bruttino.
Dopo vari anni di razzie più o meno nel nome di Dio (o se non altro contro gli infedeli) l’anima di Solomon Kane è dannata. Riesce a sfuggire al mietitore che vuole portarlo all’inferno, ma per redimersi promette di intraprendere un cammino non violento. Si ritira in convento e dopo un po’ i frati lo accompagnano alla porta (non si capisce bene perché), lui incontra una comitiva di puritani che sta per salpare per l’America (siamo nel 1600), fa un pezzo di strada con loro finché non vengono attaccati da una banda di cattivoni che fanno capo a un tizio a volto coperto che sembra Letherface, che è solo il braccio secolare dello stregone Malachia. I cattivi rapiscono una ragazza e Solomon decide di permutare la sua redenzione non violenta con una redenzione nel salvataggio di questa ragazza. E dopo circa 40 minuti di film più o meno d’atmosfera (i migliori) cominciano le mazzate.
Nella restante ora di film in ordine sparso, Solomon viene crocefisso, dato in pasto a degli zombi da una specie di predicatore pazzo, gli improvvisano attorno un esercito, scopriamo gli altarini della sua famiglia (e relativi colpi di scena alla “No, Solomon, io non ho ucciso tuo padre. IO sono tuo padre!”), combatte contro un balrog eccetera, eccetera. Se almeno ci fosse dell’ironia già sarebbe tutta un’altra cosa, e invece no: questi fanno proprio sul serio… e la noia dilaga. Poteva essere un film alla “Conan il Barbaro”, e invece siamo più dalle parti di Beowulf (quello con Cristopher Lambert). Un po’ meglio, ma nemmeno tanto.

Voto: 4


The Hole

Accipicchia, erano proprio anni fitti che non si vedeva in giro un film di Joe Dante! Sono andato or ora vedere su imdb per vedere se ero io ad essermi perso qualche titolo o se semplicemente negli ultimi anni il buon Joe si era dedicato ad altro. E in effetti è così: dopo il 1990 soltanto tre titoli per il cinema, Matinee (1993), Small Soldiers (1998) e Looney Toons back in action (2003), di cui quest’ultimo peraltro nel mio immaginario è uno di quei progetti (tipo Space Jam) un po’ “figli di nessuno”. A parte questo molte regie per serie televisive. E sì che negli anni ’80 Joe Dante, collaterale a Steven Spilberg, aveva dato vita ad alcuni dei film più spassosi di tutto il decennio (soprattutto per il me bambino di quel tempo): i due Gremlins, Explorers, Salto nel Buio, uno dei segmenti del film “Ai confini della realtà”.
Ed ecco che dicendo questo abbiamo già detto un sacco di cose su The Hole: sembra un film uscito direttamente dagli anni ’80 a parte il fatto di essere stato girato per il 3D, cosa che in tv perde la sua efficacia eppure per molti dettagli si nota (è evidentissimo che un sacco di inquadrature sono pensate proprio per quello). Storia all’osso: nuova famiglia – madre e due figli – si trasferisce nel quartiere. Presto i due pargoli fanno una scoperta inquietante: nella cantina della loro casa c’è una botola chiusa con un sacco di lucchetti. Manco a dirlo la aprono. Manco a dirlo c’è un buco senza fondo, manco a dirlo cominciano a uscire cose strane. Vicina di casa coetanea del fratello grande (sedicenni con accenno di flirt ma nemmeno un bacio) aiuta nelle “indagini”.
Detto così sembra una vaccata, e non posso negare che tale lo si possa anche considerare, ma a chi ha la mia età e con certi film ci è cresciuto sono pronto a scommettere che piacerà. In “The Hole” c’è tutta l’innocenza perduta dei nostri dieci-dodici anni. Quella in cui il mondo delle fantasie bambine ha ancora una cesura netta con quello degli adulti, e che da esso si aspetta talmente poca solidarietà che preferisce “rischiare la vita” nascondendo il buco alla mamma piuttosto che comunicarle una (presunta) marachella. La stessa innocenza perduta che combatte il Male con una maschera da catcher e attende ore davanti al buco il suo manifestarsi, tranne poi addormentarsi nell’attesa. E’ il mondo dei bambini, quelli fortunati s’intende, in cui tutto accade per finta, in cui anche il Male è in fondo incruento, e l’unica cosa a far davvero paura è la paura.

Voto obiettivo: 5.5
Voto emotivo: 7


Dimensione carattereTroll Hunter

Quarto film da “svendita blockbuster”. Questo più di tutti lo ritenevo una “voglia di fichi secchi” come si suole dire dalle mie parti. Insomma, una trashata. Sono stato molto felice di sbagliarmi.
Un gruppo di studenti si mette alle calcagna di un uno strano cacciatore per girare un documentario sulla sua vita. Un bracconiere che uccide orsi, nominalmente, ma in realtà lavora per un’organizzazione del governo norvegese tesa a contenere la i problemi causati dai troll che escono dalle loro aree protette e a mantenerne nascosta l’esistenza.
Non aspettatevi i “Men in Black”, qui c’è solo sto cacciatore sfigato, il funzionario suo superiore che potrebbe benissimo fare il metalmeccanico e un gruppo di polacchi che procacciano orsi croati per dare a bere alla cittadinanza che i danni provocati dai troll siano in realtà provocati dagli orsi.
E non aspettatevi nemmeno i troll come creature demoniache provenienti da chissà quale recesso di universo magico, questi troll sono solo animali: puzzolenti, stupidi e mangioni. Il lavoro del nostro troll hunter è più simile a quello di un cacciatore delle nostre colline che contiene le nascite dei cinghiali e si occupa del fatto che non vadano in giro a fare troppi danni. Poi qualche caratteristica particolare questi troll ce l’hanno, tipo: sentono puzza di “cristiano” (nel senso: credente della religione cristiana), diventano di pietra o esplodono alla luce ultravioletta (ci spiega una veterinaria: hanno un problema con la vitamina D), alcuni hanno tre teste (ma due sono finte, se le fanno crescere perché attirano le femmine).
E oltre a queste ci sono varie altre cose geniali in questo filmetto, oltre a dei troll veramente bellissimi (che fanno B-movie abbestia, e per questo a mio avviso anche più belli!). La scena in cui in nostro troll hunter si mette una sorta di scafandro da palombaro perché deve fare un prelievo di sangue a una bestiaccia che lo piglia e lo sbatacchia come un pupazzo è una delle scene più spassose che mi è capitato di vedere negli ultimi anni.
L’espediente del documentario con relativa presa diretta e ritrovo del nastro alla scomparsa dei cineasti fa tanto “Blair witch project”. Anche un po’ troppo, per la verità ma comunque ha la sua efficacia e non inficia il risultato di un film davvero davvero godibile!

Voto: 8.5

mercoledì 21 marzo 2012

Visioni di Febbraio

Siamo quasi ad aprile per cui se tutto va bene a stretto giro di posta arrivarenno anche quelle di marzo, se riesco a mettere fuori la testa dal popo' di cose che mi stanno stritolando (piacevolmente eh!) l'esistenza.

Questa storia qua

Per i sessant’anni di Vasco, La7 ha trasmesso un documentario sulla sua vita uscito nelle sale appena l’anno scorso. Personalmente non sono un amante di Vasco, anzi in realtà l’amore travolgente che i suoi fan gli tributano in maniera quasi religiosa mi hanno sempre fatto un po’ “tirare indietro il culo”, come si suole dire. Negli ultimi anni però mi sono un po’ ammorbidito e ho cominciato ad apprezzare anch’io la bravura di quello che è forse il più famoso dei miei conterranei. Questo documentario è sicuramente un’opera intima e sentita, le sue canzoni ci sono ma senza essere invadenti, i suoi concerti pure. Si parla più dei primi anni, si fa parlare più i suoi amici, si preferiscono le immagini di Zocca: un paesino come tanti sui colli dell’Appennino modenese in cui io sono stato decine di volte e potrei quasi riprodurre cartograficamente. Anzi oserei dire che Zocca sia la coprotagonista del documentario. Zocca che qui viene rappresentata un po’ il paradigma di Vasco: un outsider che ha sfondato col suo talento e che, come dice uno dei suoi amici ha sempre rifiutato l’idea sia di essere conformista che di essere anticonformista. Lui lo ha definito “non conformista” e per quel poco che ne so trovo la definizione azzeccata. Laterale, come lo è il montanaro alle beghe della città e del mondo. O forse solo come me lo immagino io.

Voto: 7


Valhalla Rising

Che dire…non mi facevo sì grasse risate dai tempi de “L’arciere di ghiaccio”!
Ora, credo che la prima cosa da sapere di questo film sia questa: il suo protagonista è un guerriero muto, ma nemmeno i suoi compagni d’avventura sono dei grandi oratori. E le poche parole sono pure piuttosto oscure. La velocità (a parte poche esplosioni di violenza) della storia è pressoché nulla. Se pensavate, per restare sullo scandinavo, “Lasciami entrare” fosse un film lento, questo al confronto va all’indietro.
Fatta questa premessa, perché questo aspetto del film è pressoché totalizzante e dovete esserne bene avvertiti, ora vi dirò però anche che Valhalla Rising è un film interessante. Definirlo “bello” sarebbe troppo, ma interessante di sicuro, vi basti pensare che la mattina dopo io e Simona ne abbiamo riparlato e questo non accade così spesso. Il film comincia con alcune parole in sovrimpressione che ci informano di come nell’epoca in cui ci troviamo (il medioevo delle crociate), il cristianesimo avesse spinto i pagani nelle regioni più inospitali del nord Europa. Il film è diviso in 6 capitoli (Ira, Il guerriero silenzioso, Gli uomini di Dio, La Terra Santa, Inferno, Il sacrificio) ed è la storia di un guerriero senza nome - battezzato One-eye dal ragazzo che viaggia con lui – che liberatosi dalla prigionia in cui è tenuto da una tribù dell’estremo nord della Scandinavia, si imbarca, insieme al ragazzo che lo segue e a un gruppo di cristiani convertiti in un viaggio verso Gerusalemme. Una terra santa che è per loro specialmente una terra promessa. Dopo settimane passate nella nebbia su una piccola imbarcazione (molto simile al viaggio di “Erik il vichingo” nell’eterna nebbia in cui Fenrir il Lupo tiene il mondo) la scalcagnata compagnia giunge in una baia dove vive un popolo primitivo. Ma forse sono già tutti morti.
Valhalla Rising è il “2001 odissea nello spazio” del paganesimo. La sua carne scivola nel metafisico quasi senza soluzione di continuità a testimonianza di come il “sacro” sia più vicino alla corporeità e alla percezione che all’astrazione “filosofica” o “teologica”. Ci sono alcune idee suggestive in questo film, quella che io ho preferito è la “ricerca del mare”. Quando la comitiva viaggia, in teoria verso la Terra Santa, si accorge ad un certo punto di trovarsi ancora nell’acqua dolce, in pratica di non avere mai lasciato le acque interne. Solo alla fine e solo il ragazzo, che non ha rimpianti o legami col passato riuscirà a trovare il mare e prendere il largo verso un futuro diverso: il futuro di una cultura e di un mondo che sta scomparendo e che per sopravvivere ha necessità di cambiare, scendendo a patti con il suo passato e trovando una nuova sintesi nel presente per proiettarsi verso un futuro diverso. Come, peraltro, tutte.

Voto: 6+


A serbian film

Siccome tra le altre cose io sono anche un collezionista di film estremi, avevo trovato questo segnalato nella categoria e ho sentito di non potermi sottrarre.
Attore porno ritiratosi dalle scene viene ingaggiato da un regista psicopatico per girare un film senza conoscerne la trama (sì, nonostante sia un porno, si porrebbe l’obiettivo di avere una sorta di trama…), ma è una trappola per drogarlo e fargli inconsapevolmente girare uno snuff. Alla fine ci andrà di mezzo anche la sua famiglia.
Diciamo la verità, “A serbian film” è veramente un film sgradevole, a tratti disgustoso. Siamo delle parti di Hostel, ma con una differenza importante. In “Hostel” affiora qua e là un grottesco salvifico e anche nella più bassa macelleria si avverte una sorta di pudore. Qui pure il grottesco c’è, ma non è affatto salvifico e la macelleria è senza pudori. Cioè, intendiamoci, molto avviene fuori scena (o sul suo "bordo"), ma basta il suggerimento per farti attorcigliare le budella.
Il regista ha dichiarato che si tratta di un film "di denuncia"... bah, sarà!
A me il tutto è parso decisamente gratuito e costruito ad arte per farti accaponare la pelle, missione nella quale peraltro riesce alla perfezione. Cinematograficamente parlando “A serbian film” non è brutto, però è davvero troppo sgradevole persino per il mio, invero non deilcatissimo, stomaco.

Voto: 5

giovedì 16 febbraio 2012

Sanremo 2012 seconda serata: la musica, finalmente!

Archiviato Celentano e tutte le polemiche relative, la seconda serata del festival finalmente si centra sulle canzoni. Sono quattordici dei big più otto dei giovani, per cui il programma è fitto e bisogna sgaggiarsi. E’ una bella notizia, perché tendenzialmente ci risparmia nefandezze. Questa volta io e Simona siamo ben preparati, abbiamo fatto il nostro foglio, codificato il nostro sistema di voto “a faccine”. E’ composto da due voti buoni (sollucchero e piacere moderato), una sufficienza e quattro livelli di insufficienza (scarsità, schifo, morte ed esplosione). Siamo però un po’ preoccupati perché non intravediamo molti personaggi chiaramente impresentabili che ci consentiranno di utilizzare una profusione di voti bassi.


Ed ecco qui i risultati (tradotti in numeri)
Nina Zilli: 5 una noia terribile.
Arisa: 6+ risentendo questa e le altre rivedo al ribasso il mio giudizio (e il relativo posto in classifica) assegnatole ieri, canzone non brutta ma nemmeno troppo geniale.
Gigi D’Alessio e Loredana Bertè: 10 o 0 indifferentemente. Preferisco non pronunciarmi. Eliminati.
Pierdavide Carone (feat. Lucio Dalla): 6.5 lui è un po’ anonimo in effetti, ma la canzone ha il suo perché, non mi aspettavo che li buttassero fuori.
Matia Bazar: 6 cosa dire? La canzone è senza infamia e senza lode, la salva però qualche eco seventies.
Finardi: 6+ lo sproloquio di Celentano lo aveva danneggiato ai miei occhi. La sua voce mi è sempre piaciuta e alla fin fine anche il testo non è pessimo.
Emma: 2 coattissima. Stile zero, testo di impegno facilone e stampo facistoide. Le risparmio lo zero giusto perché lei ci risparmia la canzone d’ammmòre.
Marlene Kuntz: 7 come detto ieri, una delle canzoni migliori del lotto, ovviamente cassati dalla giuria demoscopica.
Irene Fornaciari: 6,5 Ritmo indiavolato, aperture rock ma anche folk, testo che ha una qualche ricercatezza. Probabilmente sarebbe la canzone più bella se solo la cantasse qualcun altro (lei è abbastanza intollerabile), tipo Van De Sfroos che l’ha scritta. Eliminata, per quanto mi riguarda, inaspettatamente.
Samuele Bersani: 7 piccola, garbata, piacevole, bel testo specie perché ci risparmia i massimi sistemi (e anche l’ammmòre…).
Chiara Civello: 5 qualcuno ha detto “la più grande cantante jazz della sua generazione”. Solo perché qualcuno lo ha detto non è detto che sia vero. E se anche lo fosse, la sua canzone rompe comunque le palle di brutto.
Noemi: 7+ canzone di impianto solido, capace di mettere d’accordo critica e pubblico, lei effettivamente ha una belle voce. Candidata ad una (non immeritata) vittoria secondo me insieme a Renga e (spero di sbagliarmi) Emma.
Renga: 7+ stesso voto e stesso commento di Noemi, canzone solida, bella voce, candidatura alla vittoria.
Dolcenera: 5 fa un sacco di fracasso e di smanezzo ma il risultato principale è “irritazione”.

“Canzoni mediocri”, si leggeva ieri in giro per la rete, ma non lo si dice forse tutti gli anni? Un po’ è stato l’effetto Celentano, un po’ è che la prima volta che senti una canzone, specie se in una sera ne senti quindici, è raro che ti colpisca molto. Alla fine io sono abbastanza soddisfatto. Secondo me le canzoni non sono brutte, tanto è vero che abbiamo dato pochissime insufficienze. Per giunta devo dire che rispetto a passate edizioni la quantità media di rottami (sia del passato che di neo-rottami recuperati in luoghi vari) è piuttosto bassa.

Un discorso a parte va fatto per i Ciòfani.
Solitamente io li odio i Ciòfani di Sanremo: sono più scarsi, piatti e… vecchi dei vecchi. Quest’anno no, tutt’altro.


A parte la canzone di Alessandro Casillo, anni 15, che per definizione non essendo maggiorenne non c’ha colpa, le altre erano tutte tra il decoroso e il bello. Anzi le canzoni di Celeste Gaia e (specialmente) Marco Guazzone sono probabilmente le mie preferite del festival. Ma niente male nemmeno i Bidiel e comunque più che passabili anche tutti gli altri. Che cosa è successo? Mah! Così a occhio direi che hanno cambiato il metodo di selezione, stavolta ciascuno usciva da un percorso di differente e articolato, Morandi li ha anche citati ma non me li sono annotati.
Ricordo invece un anno – non molto tempo fa - in cui tra i Ciòfani c’erano tipo tre figli di cantanti famosi: facevano tutti abbastanza cagare (o suppergiù...).

Se Sanremo è lo specchio dell’Italia si potrebbe anche pensare che ciò significhi qualcosa: ossia che forse certe rendite di posizione si stanno un po’ erodendo. Certo è pur vero che il festival lo vincerà probabilmente Emma Marrone. E’ pur vero che l’evento per antonomasia sarà stato Celentano e il suo codazzo di polemiche. Che i comici di serata (i Soliti Idioti) erano anche più infestanti di quelli dell’anno scorso, ossia quei Luca e Paolo che già mi piacciono il giusto. Che non si capisce perché, torcicollo a parte, nel 2012 dobbiamo ancora comprare dall’estero un quarto di bue di valletta che non sa parlare l’italiano e non sa ballare. Cacchio, quando è arrivata Ivanka Boh con i suoi 15 centimetri di dentatura cavallina e dopo dieci secondi ha rimarcato che aveva le tette più grosse di Belen Rodriguez ho rimpianto la suddetta e la sua compagna di merende Canalis. Che non è che mi stiano, di base, simpatiche.
Ma si sa che l’Italia è un paese contraddittorio, e alla fin fine a me purché dia segno di muoversi va bene (quasi) tutto. E in definitiva Sanremo è pur sempre (solo e ostinatamente) Sanremo.


mercoledì 15 febbraio 2012

Sanremo 2012: la valletta allettata, la giuria esautorata e il pippone di Celentano, canzoni sullo sfondo

E così anche quest’anno mi sono fatto prendere dal mio solito attacco di nazionalpopolarismo e mi sono sciroppato la prima serata di Sanremo. Io e Simona siamo arrivati un po’ lunghi per la verità, accendendo la tv soltanto alle nove e un quarto, nel momento in cui saliva sul palco il primo cantante in gara. Di cosa sia successo prima (e nemmeno se ci sia stato un “prima”) non saprei dire. Tra l’altro ci stavamo mettendo a tavola per cui abbiamo ascoltato le prime canzoni con l’orecchio sinistro e (ahimè!) non abbiamo compilato la solita tavola dei voti… ma magari stasera rimediamo.

Quindi fuoco alle polveri: comincia Dolcenera che per quanto mi riguarda esiste solo sul palco di Sanremo, in galleria la giuria demoscopica vota e già intuiamo qualche problema nel sistema. Poi c’è Samuele Bersani e il sistema di votazione elettronico è già in crack. Morandi ci annuncia che la valletta ufficiale (Ivanska Boh) è stata vittima di una sorta di colpo della strega e dietro le quinte stanno riesumando Elisabetta Canalis e Belen Rodriguez per allietarci di bellezza femminile. Cantano (dignitosamente) Noemi e Renga, entra Rocco Papaleo coi suoi diversi centimetri di esoftalmo e a me torna in mente “Classe di ferro” quella serie di fine anni ottanta sulla naja con la sigla cantata da Jovanotti e Pappalardo nella parte del sergente Scherone.
A suo modo è un bel ricordo. A suo modo.
Cantano anche una certa Civelli e Irene Fornaciari quindi arriva il molleggiato.

Celentano sorge dalla macerie del corpo di ballo dopo un filmato di apocalisse guerresca.
Attacca coi preti che nelle chiese hanno regolarmente un impianto scadente e negli ultimi banchi non si sente mai il sermone, “eppure il Vangelo era stato chiaro sull’argomento: gli ultimi saranno i primi nel regno dei cieli”. E qui già capiamo che siamo entrati in una zona ai confine del reale.
Poi con un tratto di penna bipartisan il molleggiato cancella Famiglia Cristiana e Avvenire grazie a un ragionamento alla “cosa scrivono a fare se tanto c’è la fame nel mondo” … e di qui in poi è tutto un piano inclinato tra la retorica populista e il delirio pseudomistico.
Un indigeribile polpettone da religiosità carismatica in cui il predicozzo ogni tanto si apre in una cantatina, e ad un certo punto ti aspetti che venga inquadrato John Belushi sul fondo della sala che, inargentato da un raggio di luce, grida “labbanda - labbanda”.
(P.s.: se vedete male il filmato cambiategli la qualità a 240p - la rotella in basso a dx)



Invece dal pubblico si alza Pupo, nella cui aura aleggiano i fantasmi di Emanuele Filly e Claudio Lippi e della finalissima di due anni fa conquistata a colpi di televoto da call center. Con argomenti da Grima Vermilinguo Pupo difende i lorsignori della Corte Costituzionale che hanno bocciato il referendum sulla legge elettorale santificato da un milione e duecentomila firme del popolo (perché va da sé che intanto l’abbiamo buttata in politica). Ma è il compare naturalmente, le cui parole servono solo a evocare un effetto rinforzo per quelle di Celentano. Il quale nella circostanza si lascia pure andare a qualche colpo di autoironia (finta, pelosa e pontificatoria, s’intende). Ultimo pistolotto sul sacrificio di Gesù morto per noi e finalmente, dopo un’ora almeno di strazio, il molleggiato si leva dalle palle.
Un grande spettacolo comunque. Davvero, eh, non scherzo. Non mi viene in mente nessuno in grado di evocare lo stesso clima da allucinazione collettiva. Magari Goebbels, chissà...

E a proposito di allucinazioni, riprende la gara: sul palco transita Emma Marrone che ci crocefigge i testicoli con una canzone “impegnata” su un reduce di guerra che non arriva a fine mese. Quindi arrivano i Marlene Kuntz che io di solito porto ad esempio di noia-fatta-a-musica ma in questo caso fanno forse il pezzo più bello della serata (se solo cambiassero quel cantante che, come si dice dalle mie parti, “al sàmbra Zalamòrt”…).
Arrivano le vallette di recupero, Belen ci informa che indossa il vestito di Ivanska e se lo aggiusta compulsivamente al seno, tanto che un po’ tutti ci poniamo domande su quali siano le sue misure se Belen ci balla dentro. Con Finardi arriva un altro fiotto di delirio pseudomistico, poi il duetto Bertè/D’Alessio su cui preferisco soprassedere.
Qui da qualche parte Rocco Papaleo fa cinque-minuti-cinque di teatro (i più divertenti di tutta la serata), poi ci assopiamo con Nina Zilli (e d’altronde ormai è mezzanotte…), quindi c’è Pierdavide Carone (featuring Lucio Dalla) che dimostra una qualche grazia. Penultima canta Arisa, che per una volta dismette la vocetta da Chipmunk e forse si piazza seconda nelle mie preferenze. Nota a margine: confesso che al di là di tutto ho una qualche simpatia per Arisa, come giudice dell’ultimo X-factor stretta tra Elio, la Ventura e il pestifero Morgan (che non perdeva occasione per tormentarla) era certamente l’alligatore albino della situazione e ha portato la croce con decoro. Ultimi cantanti in gara: Matia Bazar, di cui maggiormente mi è rimasto impresso nella memoria il vestito stile giubbotto di salvataggio di Silvia Mezzanotte (che peraltro al di là di questo mi piace moltissimo…).

In conclusione di serata arriva la nemesi storica. Dopo la paternale sulle firme del referendum mandate in niente dai lorsignori della Consulta, il voto della giuria demoscopica (che doveva eliminare due cantanti su quattrodici) viene annullato perché il guasto al sistema lo ha reso inaffidabile.
Ergo: uscite vino e taralli che non fu vera gara, tutti promossi alla seconda puntata.
Perché Sanremo è Sanremo.

sabato 11 febbraio 2012

Visioni di dicembre/gennaio (seconda parte)

Ecco qui la seconda parte delle mie visioni, come potete notare dai voti con un'unica eccezione sono state "più fortunate" delle altre...

Non pensarci

Film di un mio conterraneo: Gianni Zanasi, nato a Vignola in provincia di Modena, come me. Di lui molti anni fa avevo visto “A domani”. Un filmino piccino picciò che non aveva lasciato grande traccia dentro di me e in cui l’unico motivo di interesse era stato il vedere sul grande schermo pezzi della mia terra, una cosa che mi emoziona sempre un po’. “Non pensarci” è film di tutt’altra densità. Innanzitutto ha uno stuolo di attori veri, e anche ben scelti: Valerio Mastrandrea e Giuseppe Battiston sono tra i miglior attori del cinema italiano secondo me e anche Anita Caprioli non sfigura (anche se ha uno sguardo un po’ fisso, fa patta con una notevole presenza scenica…). Poi la storia, pur rimanendo leggera è assai più interessante e anche i personaggi sono decisamente più incisivi. Splendido specialmente quello di Mastrandrea: un’eterna promessa della chitarra rock che a trentacinque anni deve ancora fare “il disco” e intanto sbarca il lunario con una band di metallari che hanno quindici anni meno di lui. Nel complesso è un film davvero godibile. Ho letto che ne hanno tratto anche una serie tv, me la voglio procurare.

Voto : 7+


La spina del diavolo

Prima de “il labirinto del fauno” Guillermo del Toro aveva già provato a girare un horror che non fosse un vero horror sullo sfondo della guerra di Spagna. Anche qui la ricostruzione è ottima e offusca quasi una storia di fantasmi da che negli ultimi dieci anni (questo film è del 2001) abbiamo, nei suoi tratti generali, ahimè visto declinata in mille modi e fin troppe volte (the Orphanage, Saint Ange, Il mistero di Rookford solo per dire i primi che mi vengono in mente). Cionondimeno appunto per il respiro della storia, che non si limita alla paura, ma in realtà ci dice molto di più su tutto quel che vi ruota attorno, resta un film assolutamente da vedere. Menzione speciale per Eduardo Noriega che da Tesis (il primo film di Amenabar) a qui sembrava essersi abbonato al ruolo del belloccio cattiverrimo. Chissà se dopo gli hanno dato anche dei ruoli diversi…

Voto: 7.5


The sky crawlers

In un presente ucronico è in corso un’eterna guerra tra due fazioni. Si svolge solo nei cieli e coinvolge soltanto i kildren, eterni adolescenti/eroi clonati allo scopo di guidare gli aerei da guerra. Non conosciamo i limite geografici delle fazioni ma sappiamo che la conduzione del conflitto è stata appaltata a due compagnie aeree private: la Rostock e le Lautern. Ma forse, anche se i kildren muoiono sul serio, è tutta una finzione.
Una guerra fatta per non finire mai, la chimera di un'età adulta che non porterà mai stabilità all'inquietudine dell'adolescenza, un avversario invincibile (che non a caso i kildren chiamano "il professore")... butto lì giusto qualche seme per incuriosirvi; “The sky crawlers” comincia con un tema musicale di grande impatto, ha idee interessanti e una struttura solida, un’animazione originale (i personaggi sono disegnati con una tecnica diversa dagli sfondi che sono generalmente molto curati ma statici), una drammatizzazione che funziona… e cieli bellissimi. Miyazaki a parte, il meglio dell’animazione giapponese che mi è capitato di vedere negli ultimi anni. Sotto forma di film almeno.

Voto: 8


Specchio della memoria

Giusto per farvi capire che non è che tutti i film che guardo siano belli. Anche se, dal momento che li scelgo con una certa cura, di solito riesco effettivamente a schivarmi quasi tutti le sòle. Ed eccola qua la sòla di gennaio. Un bel film proveniente dalla metà degli anni novanta, thriller con qualche connotato fantascientifico. Ma più che altro fantascemo: ahimè il presupposto va a pescare proprio nel mio campo di studi per cui devo proprio chiudere entrambi gli occhi per non vedere quale sia il suo livello di assurdità. Peccato che anche con tutti gli organi di senso turati rimane comunque piuttosto brutto. La tensione è sotto le scarpe, gli sbadigli proliferano e poi specialmente sapete cosa? La fisiognomica degli attori. Dopo due minuti di film io ho detto: “So chi è l’assassino” soltanto incorciando le facce degli atori con i loro ruoli. Ci ho azzeccato: e non è mica la prima volta! Dovrei fondare una disciplina a questo riguardo, certo funziona solo con i cineasti fessi.

Voto: 4


Deep water

Nel 1969 il Sunday Times indisse la prima regata in solitaria intorno al mondo senza scalo. Dei nove partecipanti solo uno arriverà al traguardo. Il documentario si focalizza sulla figura di Donald Crowhurst un ingegnere velista della domenica che progettò e costruì la sua imbarcazione finanziato da un privato con un contratto che prevedeva la restituzione del denaro in caso di fallimento del viaggio. Crowhurst parte l’ultimo giorno utile (era possibile partire dal 1 luglio al 31 ottobre ed erano previsti due premi: per il primo ad arrivare e per il viaggio più veloce) nonostante i problemi della sua imbarcazione per non dover restituire il denaro, cosa che lo avrebbe ridotto sul lastrico. Resosi presto conto che l’imbarcazione non potrà portarlo a destinazione (un viaggio di più di 300 giorni) dapprima tenta di falsificare il diario di bordo dichiarando di aver navigato l’Oceano Indiano e il Pacifico mentre in realtà non lascia mai l’Atlantico, poi si suicida.
La vicenda di Crowhurst è una di quelle storie vere che sembrano false, destinata a rovesciare il mito dell’outsider geniale e vincente: un antieroe stritolato dal suo animo di sognatore che non sa valutare i suoi limiti e si rifugia prima nella menzogna e poi nella follia e nel suicidio. La ricostruzione, fatta di interviste e filmati d’epoca è accurata, rigorosa e partecipe. Un documentario esemplare.
Per un approfondire il tema seguite questo link.

Voto: 9